L’intelligence economica e le spionaggio (Conferenza all’IASSP, Milano, 29 novembre 2019)
Éric DENÉCÉ
Agli attori del mondo economico contemporaneo è necessario spiegare che la loro sopravvivenza dipende oggi dallo sviluppo di adeguati servizi di difesa e di Intelligence Economica. L’economia contemporanea è dominata da una guerra invisibile e onnipresente in cui ogni alleato si rivela al tempo stesso un nemico, e viceversa. Sviluppare un’intelligenza economica in grado di proteggere le nostre aziende non è più un’opzione, ma una necessità.
In uno scenario simile, le aziende devono comportarsi alla stregua degli Stati, devono cioè comprendere come difendersi e come espandersi. L’intelligenza economica è la risposta diretta alla guerra economica e si fa carico proprio di queste due esigenze delle aziende: difendersi e conquistare. A livello di difesa, è indispensabile sviluppare un servizio di sicurezza, a livello di espansione un servizio di intelligence. L’intelligenza economica si occupa, quindi, di fornire alle aziende questi due strumenti principali.
Nel campo dell’intelligence economica esistono molti teorici che non possiedono un’esperienza pratica e tendono a parlare per sommi principi di argomenti che sostanzialmente non conoscono. Personalmente, ho partecipato come esperto di intelligence alla Guerra Fredda e mi occupo da oltre vent’anni come imprenditore e come accademico di questa tematica. Dirigo il Centre Français de Recherche sur le Renseignement (CF2R) di Parigi, un centro di ricerca che lavora soprattutto sui servizi informativi, oltre che sull’intelligence economica.
Per affrontare il tema dell’intelligence economica, suddividerò l’argomento in tre punti principali:
- Intelligence economica come parte dei servizi informativi;
- Specificità particolari dell’intelligence economica;
- Necessità di una pedagogia dell’intelligence economica poiché non è possibile sviluppare l’intelligence economica (nel mondo delle imprese e delle università) se questo argomento non viene prima spiegato pedagogicamente.
Punto numero 1: L’intelligence economica è una attività dei servizi informativi.
Nei Paesi latini, soprattutto nell’Europa continentale, si confonde quella che è l’intelligence dei servizi informativi con quella che è rappresentata da attività di spionaggio. Va spiegata agli attuali attori economici la distinzione fondamentale tra intelligence e spionaggio. Si tratta di due attività che partono da basi profondamente differenti, poiché la prima è legale mentre la seconda no. Lo spionaggio trasgredisce il codice penale collocando, per esempio, microfoni, ricattando o minacciando per mezzo di furti mirati. L’intelligence, al contrario, utilizza pratiche legali, come mentire, ingannare, ideare stratagemmi per ottenere informazioni utili, restando sempre all’interno dei confini della legalità.
I capi di azienda devono pertanto sradicare l’idea che l’intelligence e la raccolta di informazioni sia qualcosa di negativo o immorale. Anzi, sviluppare dei servizi di sicurezza di intelligenza economica nel mondo attuale del commercio è una questione di sopravvivenza. Purtroppo la maggiore diffusione dell’intelligence economica in molte nazioni ha creato una falsa credenza, che se non è spionaggio, allora non è un servizio informativo. Non è così, lo spionaggio è la parte illegale dei servizi informativi. Va altresì ricordato che oltre il 50% delle attività dei servizi informativi di Stato non sono di per sé illegali. È giusto quindi chiedersi: che cos’è l’illegalità? L’illegalità è definita dal codice penale del Paese in cui si opera: ciò che è legale in Italia può non esserlo in Francia, e viceversa. Pertanto, nel business dell’intelligence economica, quando si lavora a livello internazionale, una delle prime attività da compiere riguarda proprio lo studiare il codice penale del Paese in cui si opera, dato che i consulenti non posso commettere illegalità (inoltre, non sono protetti dall’immunità governativa statale o da altre tutele). L’azione di spionaggio prevede azioni illegali e, quindi, perseguibili per legge, come l’intercettazione o la manipolazione. All’opposto, i servizi informativi utilizzano stratagemmi come mentire o imbrogliare, attività che non sono vietate dalla legge. È necessario inculcare questa differenziazione basilare, perché se non è specificatamente illegale significa che non è una attività di spionaggio.
L’intelligence economica non è spionaggio economico. Quest’ultimo è riservato esclusivamente ai servizi di Stato perché altrimenti, se sono attività non espletate dai servizi di Stato, sono in tutto e per tutto azioni illegali. Quando politici e imprenditori, che non comprendono assolutamente cosa sia esattamente il servizio informativo, ci richiedono di definire la nostra attività di intelligence e economica, rispondiamo che il nostro core business è accedere alle informazioni. Chi si occupa di servizi informativi non è specializzato nell’argomento specifico ma padroneggia tutta una serie di tecniche, strumenti e reti che ci consentono di rispondere a una domanda che ci viene posta, a prescindere dalla domanda stessa. Un servizio informativo è la disciplina che progetta e implementa le strategie per arrivare a scoprire informazioni celate. Non siamo specialisti del terrorismo, dell’attivismo, della Russia o di quant’altro, al limite lo diventiamo se lavoriamo su un argomento per moltissimo tempo, ma il nostro know how è che, indipendentemente dalla domanda che ci viene posta, possediamo gli strumenti per rispondere.
Nell’Europa continentale si sta sviluppando un’idea distorta di intelligence economica: viene appunto fatta questa differenziazione artificiale tra i servizi informativi da un lato e l’intelligence economica dall’altro, invece di puntualizzare la distinzione tra servizio informativo, che è legale, e lo spionaggio, che legale non è. Si può tranquillamente entrare in possesso di segreti aziendali senza mai oltrepassare il confine della legalità, facendo chiamate o andando direttamente sul posto, “rubando” della documentazione, ossia prendendo “inavvertitamente” documenti altrui. Se venissi scoperto mentre compio “per sbaglio” questa azione, dovrei restituire quanto preso, ma se nessuno se ne accorge, posso serenamente tenermi la documentazione perché non ho compiuto un’azione illegale per la legge. Quando interroghiamo i sindacati che lavorano nelle imprese o quando andiamo a svuotare la pattumiera o si va nei ristornati o aeroporti frequentati dagli imprenditori senza avere un contatto diretto, nulla di questo è illegale. Paradossalmente, spesso avere informazioni non illegali costa di più e richiede più tempo rispetto a un’azione di vero e proprio spionaggio, ma come consulenti non possiamo permetterci alcunché di illegale, come per esempio utilizzare documenti falsi. È importante insistere su questo aspetto. Per esempio, nulla ci vieta di andare in Polonia, costituire una società legale, per rispondere per esempio a un appalto in Francia o in Belgio. In questo caso io lavoro con la mia identità, la società polacca esiste, c’è un dipendente, e questo ci permettere di accedere a informazioni che altrimenti non avremmo la possibilità di intercettare direttamente. Al momento dell’azione, non c’è nulla che sia giuridicamente illegale e sicuramente il servizio di sicurezza non avrebbe problemi a fidarsi di una società esistente che risponde a un appalto, mentre non si fiderebbe delle spie. Voilà.
Questo primo punto è essenziale. Chi si occupa di intelligence economica non fa spionaggio, che rimane confinato in una parte piccolissima dei servizi informativi di Stato.
Punto numero 2 : Esistono caratteristiche precipue, particolari, riferite all’intelligence economica.
Esistono limiti e punti di forza che distinguono i servizi di Stato da quelli privati. I punti di forza dei servizi di Stato sono gli archivi, hanno decenni di storico, quindi possono compiere azioni di controspionaggio e lavorare a lungo termine sui dossier. Nel privato, invece, si lavora nella maggior parte dei casi su operazioni a breve termine, cambiando argomento da un mese all’altro e non mantenendo gli archivi per non avere eventuali problemi con la legge. Il primo limite di chi si occupa di intelligence economica privata è, quindi, che non può contare su una memoria. Il secondo aspetto è rappresentato dai limiti legali, essendoci azioni che non possono essere fatte, a meno che di essere passibili di sanzioni legali. Terzo limite, la nostra attività è difficile da proteggere, perché quando si ha un team con più dipendenti i segreti possono essere utilizzati per ottenere, per esempio, aumenti di stipendio con il ricatto. È ancora più necessario avere una compartimentalizzazione a livello privato perché non abbiamo i mezzi giuridici che può avere uno Stato. Ciò significa, anche, che operiamo in un business che non può rivendere la propria impresa; la forza di un’impresa è la rete di persone che la compongono e noi non trasmettiamo gli asset a qualcuno che domani potrebbe lavorare per qualcun altro. Quarto limite, i consulenti privati raramente possiedono una competenza tematica, specifica, su un determinato argomento dato che passano da un settore economico all’altro. Ciò ci ha portato a rifocalizzare il business proprio sull’accesso alle informazioni: significa accedere alle informazioni della concorrenza, validarle e darle al cliente, senza però avere le competenze indispensabili per analizzarle (sarà il cliente stesso ad avere le conoscenze necessarie per analizzare le informazioni). Di contro, esistono nel nostro business aspetti assolutamente positivi: siamo abituati alla competizione con gli avversari, laddove nel servizio di Stato non c’è questa concorrenza. L’antagonismo spinge a un continuo miglioramento. Inoltre, chi si occupa di intelligence economica è giocoforza flessibile, qualità essenziale per passare velocemente da un argomento all’altro. Altra caratteristica sostanziale, in quanto consulenti si deve imparare a fare pricing strategy e ROI, il ritorno sull’investimento. Nei servizi di Stato non si apprende questa parte, pertanto si deve imparare come spiegare a un imprenditore, che per esempio assegna una missione di sei mesi con un budget anche di oltre centomila euro, il valore della consegna di un report che, dopo mesi di serio lavoro, si riduce a due pagine perché tutti i dubbi, tutti gli insight, tutte le piste su cui ci ha messo sono false. Chi si occupa di servizi informativi privati deve agire con tempistiche molto brevi e budget adeguati a soddisfare quanto richiesto.
Gli Stati Uniti dopo il 2002 hanno avuto l’intelligenza di reintegrare ex dipendenti dei servizi di informazione statali che erano passati al settore privato, proprio per utilizzare queste nuove modalità d’azione che avevano sviluppato nel campo dell’intelligence privato, traendone un enorme vantaggio. In Europa i servizi informativi di Stato si sono mossi con estremo ritardo nell’uso di database software. Da dieci anni circa, con la minaccia terroristica, tutto questo comparto ha ripreso a svilupparsi. Il settore privato possiede da lungo tempo metodi e pratiche di intelligence economica, informazioni tecniche dei database, grandi capacità di imaging non secretato (perché si utilizza Google Street View o perché c’è un budget dedicato all’acquisto di immagini satellitari), ricognizioni con droni non illegali. Quando, per esempio, si lavora sulla lotta contro il money laundering, esistono software database per identificare le persone politicamente esposte e il lavoro di un consulente si riduce all’utilizzo di questi strumenti. Un database di persone politicamente esposte può aiutare i servizi di Stato a fare spionaggio (dato che comprende Primi Ministri, Capi di Stato, Sindaci, Generali, Ammiragli ecc. di tutto il mondo), sostituendo l’invio sul posto di persone fisiche e permettendo così di avere lo stesso risultato stando seduti in ufficio.
Punto numero 3: Si deve lottare fermamente contro l’dea che tende a separare i servizi informativi dall’intelligence economica.
Non è possibile sviluppare l’intelligence economica nei propri paesi se prima non si fa pedagogia, spiegando esattamente cosa sia il business dell’intelligence dei servizi informativi. In Francia spesso si dice che i servizi informativi sono come il sesso, è una cosa che ti fa fantasticare. Insomma, ci addebitano qualità magiche che non possediamo o ci vedono come voyeur. È difficile spiegare agli imprenditori che non siamo né l’uno, né l’altro. In Francia non abbiamo una cultura dei servizi informativi, il livello di competenza e conoscenza in materia della nostra classe politica ed economica è estremamente basso. Negli ultimi venticinque anni l’evoluzione è stata molto lenta, per questo abbiamo creato il Centre Français de Recherche sur le Renseignement che dirigo, per insegnare, spiegare, fare una corretta pedagogia su cosa sia esattamente il nostro mestiere.
In Francia viviamo uno straordinario paradosso, siamo visti come un modello in questo campo da Belgio, Germania, dall’Africa francofona e forse anche dall’Italia. La caratteristica francese è che l’intelligence economica è stata sviluppata dallo Stato mentre in tutti i paesi anglosassoni sono state invece le imprese ad essere le artefici di questo settore, perché alla fine della Guerra Fredda avevano capito che nei mercati mondiali un’impresa non può vincere se non ha un servizio di sicurezza e di informazione. I veri paesi liberali hanno quindi i player economici che ne hanno compreso appieno l’utilità, mentre in Francia è proprio lo Stato, onnipotente e molto poco liberale, ad aver lanciato la nozione di intelligence economica. Ciò significa che gli attori economici non hanno ancora compreso il significato di questa attività fondamentale.
La Francia è un Paese “di astrazione”. A noi francesi piace appropriarci di un concetto, scrivere dissertazioni, fare conferenze ma raramente passiamo all’azione. Esiste una grande differenza tra i paesi latini e quelli anglosassoni. I primi sono popoli concettuali, amano il discorso ma non sono coerenti tra le parole e i fatti; i secondi sono l’opposto, fanno pratica sul terreno e solamente dopo molti anni scrivono libri, fanno conferenze e organizzano master. Dall’esterno, si ha l’impressione che la Francia sia un paese all’avanguardia in termini di Intelligenza Economica, direi che la strada da fare è ancora lunga. Dieci anni fa sono stato invitato a Milano a una riunione del comitato direttivo di Confindustria composto allora da Paolo Scaroni, Emma Marcegaglia, Gianni De Gennaro, Antonio Amato, Giorgio Squinzi. In quell’occasione mi venne chiesto di supportare lo sviluppo dell’intelligence economica italiana, una richiesta di cui fui veramente onorato e alla quale risposi: “Quando abbiamo sviluppato l’intelligence economica in Francia due dei riferimenti più importanti sono stati i sevizi informativi di Venezia (c’è un eccellente libro sull’argomento di Paolo Preto, I servizi segreti di Venezia) e i distretti industriali dell’Italia settentrionale. Noi siamo venuti a cercare idee da voi, non sono sicuro di potervi insegnare gran cose.”
Informazione, strategia, guerra economica, sono i tre punti essenziali per fare conoscere la nostra disciplina. Sono restio alle formule del “politicamente corretto”, preferisco un sano pragmatismo e un empirismo radicale basati sui concetti di “guerra”, “interesse” e “concorrenza”. L’intelligence economica è parte dei servizi informativi e non va confusa con lo spionaggio. Il nostro business ha caratteristiche specifiche, abbiamo competenze specifiche che a volte i servizi di Stato non hanno. Non possiamo, però, convincere la classe politica e l’élite economica se non spieghiamo loro preliminarmente cos’è “esattamente” il nostro lavoro, sia da un punto di vista storico che da un punto di vista di funzionamento e utilità. Questa è la chiave di volta di tutto. Spesso ci accorgiamo che quando in un Paese non esiste una cultura dell’informazione è perché spesso non possiede nemmeno una cultura della strategia; quando si ha una cultura della strategia, informarsi è la prima tappa. La conseguenza pericolosa è che i Paesi che non hanno una cultura della strategia e dell’informazione rifiutano la nozione di guerra economica. Ma esistono morti e feriti anche della guerra economica: sono i fallimenti, i licenziamenti, la disoccupazione. La guerra non è soltanto una forma di distruzione militare.